Cascata di Cannavina

La spettacolare Cascata di Cannavina si origina alla confluenza del torrente Cannavino con il fiume Savuto nel comune di Rogliano (CS)- Calabria Italy. Il sito assume particolare rilevanza, non solo sotto l’aspetto naturalistico ma anche dal punto di vista storico. Nelle vicinanze si trova l’antico Ponte di Tavolaria risalente al XVI sec.
Il primo e più importante affluente del Savuto, il torrente “Cannavina” con le sue acque spumeggianti e fresche e con la sua caratteristica cascata. Da sempre le sue acque sono state considerate medicamentose per la cura dei reumatismi per cui, specie d’estate, questo luogo era ed è ancora oggi meta di comitive e di gitanti. Di recente ci è giunta notizie di uno scritto pare latino inciso su una parete rocciosa liscia e a picco di fronte alla cascata, sulla sponda destra del fiume a 30m circa di quota rispetto al greto. Questa parete è detta da sempre : timpa scritta. Ma fino ad oggi per quanto si è cercato con cordate e mezzi vari nessun segno di scritto è venuto fuori.

Il Savuto – tra storia e leggende

Il fiume Savuto, chiamato dai Greci “Ocynarus” e dai Romani “Sabatus” secondo una delle tante leggende, deve il suo nome a Sebasio figlio di Cur re degli Ausoni – nome dato dai Greci ai primi abitanti dell’Italia Meridionale.
Esso nasce da una ricca sorgente di acqua pura e fresca “Testa del savuto” in località Spineto in comune di Aprigliano sull’altopiano della Sila Piccola a quota 1200.00 metri circa s.l.m. . Si limenta snodandosi dolcemente, con le acque di altri torrenti e rigagnoli per poi riversarsi nel piccolo invaso del Savuto.
Da qui fuoriesce – solo il troppo pieno – e dopo circa un km si immette nel suo naturale corso verso sud attraverso il varco depressivo della Poverella. Abbandona la pianura e diventa torrentizio e dopo un percorsi di circa 55 km sfocia nel mar Tirreno in territorio di Nocera Terinese (CZ).
Sui costoni rocciosi che delimitano questo fiume sono sorti paesi più o meno di antica origine e tuttora importanti per tradizioni, cultura e commercio agricolo. Citiamo i primi a partire dalla sorgente:
Parenti è il primo nato sulla sponda sx del fiume perché più ricca di acque sorgenti. A fondarlo furono, secondo una delle tante ipotesi delle famiglie provenienti da Carpanzano, altro paese sulla stessa costa del Savuto a pochi km di distanza più a Sud. Nel 1810 il paese venne interamente raso al suolo dai Francesi, così come ci racconta DE RILLIET nel suo “tournee in Calabria 1852”: una compagnia di volteggiatori del 29° (Francesi) mentre si trasferiva da Cosenza a Monteleone ( attuale Vivo Valentia) si fermò, dopo Rogliano sulla strada; a quel punto si vide arrivare una deputazione del piccolo villaggio di Li Parenti, situato ad alcune miglia sulle montagne.
Queste persone, con il loro Sindaco in testa e con i cappelli adornati di nastrini tricolori, fecero loro migliore accoglienza supplicandoli di andare a passare la notte nel villaggio. Cedendo a tutte quelle testimonianze di amicizia, i Francesi si lasciarono sedurre e seguirono le loro guide. Giunti al villaggio essi furono ricevute al grido di “ vivano i bravi Francesi” con archi di trionfo, fiori e tutte le manifestazioni più amichevoli.
Gli ufficiali sono tratti splendidamente alla casa Comunale; in quanto ai soldati ogni abitante ne prende uno sotto braccio e lo conduce a casa propria, lo rifocilla e o tratta meglio che può: tutte queste apparenze di ospitalità nascondevano un infernale tradimento. A un segnale partito dalla casa comunale, segnale che annunciava la morte degli sventurati e imprudenti ufficiali, gli abitanti saltarono addosso ai loro ospiti addormentati e li sgozzarono senza pietà. Uno solo sfuggi alla carneficina e andò a riferire la notizia al Generale Manhès il quale immediatamente accorse e, per dare un terrificante esempio diede il villaggio alle fiamme, fece massacrare gli abitanti e arrestare i capi del complotto.
Segue Rogliano fondata, secondo un’altra leggenda, sulla sponda destra da Enotrio Re dell’Arcadia- GreciA meridionale – che essendo stato costretto a fuggire da questa risalì il corso del fiume Savuto e sul colle sul colle Santa Croce edificò Rublanum nome derivante dal vcolore rosso della terra del posto.
Sempre sulla sponda dx della Valle del Savuto si affaccia Marzi edificato al tempo dei “Casali del Manco” dai Cosentini fra il 1009 e il 1014 sfuggiti al massacro del sanguinario califfo Sati o Saati.

STORIA
Occorre premettere che il ostro fiume, ridotto oggi a poco più di un ruscello aveva una portata d’acqua che d’estate superava il 2m di altezza e d’inverno in media i 4 m e che, quando era in piena secondo il Padula: “portava alberi all’impiedi”.
Secondo un documento del 1812, data della costruzione del “Ponte Nuovo” e dell’attuale SS.19ad opera di Murat, le acque del fiumein piena superavano i 15 palmi, circa 4m. Ancora L’Arnoni dopo cinquant’anni lo descrive come un fiume “ torbido, truce e spaventevole a tutti crudele”.
Da queste notizie che risalgono circa 200 anni fa possiamo immaginare quanta acqua portasse il fiume al tempo dei Romani. Ecco dunque l’importanza che il fiume aveva quale unica via di trasporto degli alberi – “L’abetone” – verso il mare. I Romani tagliavano qui a monte alle falde della Sila in località “Cutura” questo tipo di pino resinoso ottimo per la costruzione delle loro navi, ne abbandonavano i tronchi alla corrente del Savuto e li ripescavano al mare, alla foce presso Falerna.
La Cutura, che oggi è un ampio arrenile torrentizio, era un luogo di raccolta da cui il nome “ COTU” o “ A COTU”. Cutura dunque significa raccogliere. I tronchi qui tagliati o raccolti venivano abbandonati alla corrente in ordine sparso per superare, più agevolmente, le strettoie del Savuto nel tratto Parenti-Balzata.

I PONTI NEL SAVUTO
ISCHIA ROMANA – SCHARUMANA –

In località Ischia Romana, presso Balzata, i tronchi venivano ripescati e fasciati assieme tanto da formare delle zattere e rimandati alle acque del Savuto arricchitesi, in tanto, da quelle del torrente Mola prima e Cannavina poi. Ischia Romana dunque deriva da attrarre, attirare , un luogo o porto dove il legname veniva ripescato. In questa stessa zona punto di attraversamento del fiume da cui il nome alla contrada balzata cioè balzo o salto, vene costruito, nel 1852 sotto il regno di Filippom II di Spagna, il primo ponte in muratura con pietre del posto e mattoni portati attraverso la strada già costruita Rogliano -Parenti; il costruttore fu mastro Sansonetto Belsito. Ilponte crollo tra il 1927 e il 1928 per l’instabilità del terreno, oggi ne rimangono in vista le sue spalle; in untratto di appena 50 m a valle sono stati costruiti in tempi diversi altri tre ponti in sostituzione l’uno dall’altro.

CANNAVINA
Più giù a circa un chilometro troviamo il primo e più importante affluente del Savuto, il torrente “Cannavina” con le sue acque spumeggianti e fresche e con la sua caratteristica cascata. Da sempre le sue acque sono state considerate medicamentose per la cura dei reumatismi per cui, specie d’estate, questo luogo era ed è ancora oggi meta di comitive e di gitanti. Di recente ci è giunta notizie di uno scritto pare latino inciso su una parete rocciosa liscia e a picco di fronte alla cascata, sulla sponda destra del fiume a 30m circa di quota rispetto al greto. Questa parete è detta da sempre : timpa scritta. Ma fino ad oggi per quanto si è cercato con cordate e mezzi vari nessun segno di scritto è venuto fuori.

PONTE DI TAVOLARIA


Il ponte di Tavolaria a circa 150mt dal Cannavina è stato edificato anch’esso nel periodo Spagnolo nel 1592 ad arcaa unica in mattoni cotti al sole mentre le spalle sono costruite interamente in pietra locale e calce; la spalla sinistra poggia su uno sperone di roccia molto caratteristico. Esso congiungeva, attraverso mulattiere i terreni di sinistra del fiume con quelli esposti a levante, ed è stato importante per il commercio dei prodotti agricoli e per quelli della pastorizia che venivano portati ai mercati di Rogliano. Ma, oltre che per la sua rude e primitiva bellezza architettonica, esso ci affascina con la sua storia e la leggenda legata a questa zona da cui prende il nome di Tavolaria.
Il re Enotrio, trovandosi a risalire la valle del Savuto incontrò nella zona molta resistenza da parte dei suoi nemici quindi, per sconfiggerli, lavorò di astuzia chiedendo una tregua e invitandoli ad una lauta cena e, dopo averli fatti ubriacare, li uccise tutti. Fu un orribile massacro e un perfido inganno una “tavola ria”, cioè una cena o tavola perversa.
Da questo ponte passarono il 31 agosto del 1860 le avanguardie di Garibaldi il quale, invece, entrava a Rogliano con il grosso delle truppe venendo da Soveria Mannelli per la via maestra attraversando il Savuto sul “Ponte Nuovo”.
L’avanguardia che si formò a Carpanzano aveva il compito di prendere alle spalle, passando dalle Fratte e per Tavolaria gli eventuali nemici: i Borboni annidatisi a Rogliano. E qui, a proposito, occorre ricordare un episodio spiacevole della stori di Rogliano: poiché nella seduta Consiliare del 30 agosto del 1860 tutti i Consiglieri Comunali di Rogliano con in testa il Sindaco avevano definito Garibaldi: “ ladro, assassino e brigante”, part della popolazione il giorno dopo fece resistenza za alle truppe garibaldine in contrada “Cortivetere”, vicino al Ponte di Tavolaria. In sostanza presero a sassate, da sopra uno sperone di roccia, i soldati che obbligatoriamente dovevano svoltare da un angolo roccioso posto più in basso per poi risalire la china attraverso una strettoia della strada mulattiera. La cosa si risolse senza conseguenze perché i soldati, persa la pazienza, spararono alcuni colpi in aria costringendo i rivoltosi ad una precipitosa fuga. Da allora quella sporgenza di roccia fu detta PETRA DEL DEMONIO O DELLA VERGOGNA.
Occorre concludere con il voltafaccia degli stessi consiglieri e del Sindaco che, dopo appena un giorno cioè il 31 agosto 1860, accolsero in seduta pubblica Garibaldi come un gande eroe e difensore del popolo, come si evince dai verbali delle due sedute.

PONTE DELLE FRATTE


Anche questo ponte fu costruito sotto agli Spagnoli intorno al 1594 con manodopera di prigionieri francesi. Appaiono delle murature di pietrame sovrapposte le une alle altre pertanto, in tempi ancora più remoti, poteva esserci stato un’altro ponte, forse di epoca Romana; quindi quello attuale dovrebbe essere la ristrutturazione di uno precedente.
Questo ponte con spalle e arco in pietra locale e calce, ad arcata unica di 22mt circa, era importante per la viabilità mulattiera. Attraverso questo tratturo si collegava Carpanzano, Marzi e Rogliano prima della costruzione dell’attuale SS.19.
Molte leggende di briganti e di tesori nascosti sono nate intorno ad esso. Nel 1806 una roglianese, per sfuggire ai suoi rapitori che la volevano seviziare, dopo essersi coperto il viso con la gonna, si buttò giù dal ponte trovando la morte sul greto del fiume. Da questi antichi ponti i briganti, che infestavano le vicine contrade, sfuggivano alle forze dell’ordine nascondendosi nei boschi della Presila. Si ricordano in particolare il crudele “Parafanti” che in una imboscata presso Piano Lago fece prigionieri 25 soldati francesi e due Ufficiali. Primise la libertà ai soldati se avessero con le loro mani
sgozzato gli ufficiali i quali, con estremo spirito di sacrificio, convinsero quelli a farlo. Ma il Parafanti, dopo non mantenne la parola data e vigliaccamente li uccise tutti, lasciandone i corpi insepolti.
Altro brigante fu “ Giosafatte Tallarico” detto “ Il Galantuomo”: ebbe come ostaggio per 8 giorni la famosa attrice Caterina Longoni, avendola prima conosciuta a Cosenza durante un banchetto all’albergo Leonetti e poi rapita sul ponte del Savuto.
La Longoni, senza sapere chi era quello scuro ospite che pretese di cenare alla sua tavola, si vantava di non aver paura dei Briganti calabresi che all’epoca infestavano la zona, al chè il Giosafatte le fece questo complimento: << In tutta la Calabria non vi sono Briganti più rapinatori e più assassini dei vostri occhi>>. Tre giorni dopo, mentre la Longoni si trasferiva con la diligenza da Cosenza a Catanzaro, veniva rapita dal Brigante dopo essersi fatto riconoscere, dicendole e rassicurandola: “ Giosafatte Tallarico non ha mai fatto male ai fanciulli alle donne e ai vecchi”.

PONTE NUOVO
Questo ponte fu costruito nel 1812 sotto il regno di Gioacchino Murat con la strada Cosenza-Catanzaro, ora SS19. Costruito in mattoni ad arco unico, con opere di sostegno a contemimento della strada fino alle sue spalle. Per alleggerire il carico sull’arco, nelle due spalle sono stati praticati due grandi fori ovoidali molto caratteristici. Appunto in una di queste nicchie, precisamente in quella di destra, intorno alla fine del secolo scorso – la data è incerta, l’ultima domenica id settembre di tardo pomeriggio di ritorno dalla fiera che, annualmente, si svolge al ponte di “S. Angelo” a 5km più a sud un numero imprecisato di marzesi fu sorpreso da una improvvisa tempesta: trupia. Parte di loro si ripararono in una casupola che ancora esiste addossata ad una rupe, altri invece si rifugiarono nella nicchia del ponte pensando di stare più al sicuro. Ma non fu così perché il fiume si ingrossò in breve tempo: la piena fu così imponente e spaventosa da portare alberi e detriti che ostruirono l’arco centrale del ponte, le acque salirono oltre i 5mt e traboccarono dai due finestroni laterali portando via tutti quei poveri viandanti; i loro corpi furono trovati a mare presso la foce del Savuto.
La casupola a ridosso della rupe sulla sponda destra costruita in pietra locale con tegole pure in lastre di pietra, era adibita al riposo dei cavalli e al loro cambio per il prosieguo della diligenza adibita al trasporto dei passeggeri e della posta; in effetti, in origine, essa faceva parte di una serie di postazioni romane messe alla confluenza dei torrenti con il Savuto, a distanza di voce l’una dall’altra in modo da permettere ai soldati romani che presidiavano il fiume di comunicare tra loro.
Attualmente tra il torrente Lara e lo Stupino di queste postazioni se ne contano tre, ancora agibili. Durante l’ultima guerra nel settembre del 1944 i tedeschi in ritirata, nel tentativo di ritardare l’avanzata delle truppe americane, ne minarono l’arco facendolo saltare in aria; fu ricostruito in calcestruzzo dall’ANAS dopo l’armistizio. A poche centinaia di metri a monte, in un’ansa nel fiume si intravedono enormi blocchi di calcestruzzo: “Frangi Flutti” fatti costruire dal genio civile con il lavoro dei prigionieri austriaci durante la guerra 15-18.

PONTE ROMANO


A circa 3km dallo Stupino, dove uno sbarramento roccioso a sinistra del fiume crea un’ansa tortuosa e smorza la corrente delle acque, si erge maestoso da oltre 2000 anni il “Ponte Romano” detto di S. Angelo o anche di Annibale.
Il Ponte, che risale ai primi decenni II secolo a.c., è realizzato con archi in tufo calcareo rosso proveniente dalla cava di una collina adiacente al ponte dove ancora sono evidenti i profondi tagli sulla parete, operati dai romani, per estrarre i blocchi che venivano precipitati a valle esattamente dove sorge il ponte. I romani erano molto razionali e organizzati e miravano sempre al minor dispendio di tempo e di energie, per cui ogni edificio veniva costruito se possibile con pietra locale. I blocchi venivano poi tagliati e levigati per il ponte, ma giacchè c’erano, vi crearono pure una fornace per farne la calce e rivenderla. Le fondazioni del ponte si trovano ad profondità di circa 1,50 m dal greto del fiume, costituite da due ordini di blocchi squadrati e sovrapposti con un’altezza dell’edificato di 1,50 m, ma di 11 m rispetto al piano del fiume, una larghezza di 3,55 m e una lunghezza di 21,50 m, del solo ponte esclusa la rampa di salita. Aggiungendo invece le due rampe di risalita, per raggiungere o abbandonare il ponte, il suolo di calpestio era lungo 48 m. La volta era costituita da due archi a tutto sesto di blocchi squadrati di tufo secco, posti sfalsati onde evitare solchi di frattura unica in caso di terremoti. Il secondo arco è in tufo e in pietrame e pozzolana all’interno, a copertura del primo arco portante ed è posto direttamente sulla fondazione, senza pile di appoggio, avendo solo funzione di rinforzo e di contrappeso al primo. I romani edificavano per l’eternità e dovettero pertanto tener conto delle tremende piene del Savuto per cui costruirono il ponte a secco, sapendo già che diversi materiali, per la diversa dilatazione dei singoli materiali, avrebbero corroso la malta e fatto crollare il ponte. I blocchi di tufo al contrario dopo oltre duemila anni si sono suturati con il calcare scioltosi dalle stesse pietre, tanto da formare un unico blocco. Il piano di calpestio venne costruito in muratura con pietrame di fiume e pietra pozzolana e vi si risaliva da un lato poggiando sulla roccia della collina, e dall’altro poggiando su un arco trasversale chiuso da muri dallo spessore di 50 cm. Accanto al ponte, alle sue estremità, sopravvivono i resti di due garitte, atte a riparare le truppe a protezione del ponte, resti purtroppo mai ripristinati. Vicino al ponte, invece, sulle fondamenta di caseggiati romani giace il rudere di una vecchia casa colonica, in parte sede della chiesetta di S. Angelo.
Secondo un’altra leggenda, il ponte, denominato anche ponte S. Angelo, per la presenza di una chiesa dedicata a questo Santo, si narra che questi abbia sconfitto il diavolo proprio sul ponte e quest’ultimo per rabbia tirando un calcio alla spalla destra del ponte provocò una lesione. Tale lesione non è oggi visibile, poiché risanata durante il restauro avvenuto nel 1961.
Attualmente il ponte è uno tra monumenti recensiti e sotto protezione dell’ Unesco ma, inspiegabilmente, pur essendo tra i ponti più antichi d’Italia, è fuori da ogni circuito turistico sia regionale che nazionale.


BIODIVERSITA’

Il bacino del savuto racchiude una flora variabile a degradare verso il mare: dal pino silano all’abete, dal faggio alò castagno, dal pioppo all’ontano, dal rovere alla quercia, ALL’ULIVO. ECC. Oltre a tante altre varietà di piante da frutto, abondano quelle selvatiche tram le quali l’erica meridionale, la profumata ginestra, il biancospino, il corbezzolo, ecc. nelle zone intermedie i vigneti abbondanti danno l’ottimo e conosciuto vino nero del savuto. L’essenza vegetale più rappresentativa della valle del savuto è l’acanto. Nell’architettura della Grecia antica l’ornamento di acanto[3] compare nelle decorazioni vegetali degli elementi architettonici e nel capitello corinzio. L’esempio più antico che si conosca di colonna corinzia si trova nel tempio di Apollo Epicurio a Bassae nella Messenia (Peloponneso), risalente alla seconda metà del V secolo a.C., ma l’ordine fu usato moderatamente in Grecia prima del periodo romano. Lo scrittore romano Vitruvio sostiene che l’ordine corinzio sia stato inventato da Callimaco, uno scultore ed architetto greco, che vi sarebbe stato ispirato dalla vista di un cesto votivo, lasciato su una tomba da una giovinetta. Esso conteneva pochi suoi giocattoli ed una tegola quadra vi era stata posta sopra per proteggere il contenuto dalle intemperie. Una pianta di acanto era cresciuta attraverso l’intreccio del cesto. Un giorno Apollo decise di rapirla, ma essa reagì tentando la fuga, quando il Dio del Sole la raggiunse la povera Acanto tentò di divincolarsi graffiando il volto del bellissimo Apollo, questi decise quindi di punirla e di trasformarla in una pianta “amata dal sole” Simbolismo. Era considerato simbolo di verginità in quanto pianta spontanea che cresce in terra non coltivata. Raffigurazioni delle sue foglie adornavano le vesti delle personalità più importanti. Nel cristianesimo primitivo e poi in quello medievale l’acanto era simbolo della Resurrezione. L’acanto per le sostanze mucillaginose in esso contenute un tempo era prescritto contro le infiammazioni intestinali, gli eritemi, le punture dei ragni e la tubercolosi. Dioscoride consigliava impacchi di radice per trattare le scottature e avvolgere le articolazioni lussate. Le foglie fresche e triturate si utilizzano sotto forma di cataplasma per curare le infiammazioni della pelle; invece sotto forma di infuso si utilizza come emolliente.
La fauna nel suo insieme, va: dal lupo al capriolo, dal cinghiale alla volpe, dal tasso alla lepre, dal gatto selvatico allo scoiattolo nero, dalla vipera alla donnola, dalla faina al riccio dal ghiro all’istrice alla martora.
L’animale più rappresentativo nella valle del savuto è la LONTRA:
La lontra è strettamente legata ai corsi d’acqua come testimoniano i suoi adattamenti: il corpo allungato, la fitta pelliccia, le zampe palmate, le piccole orecchie e le narici che si chiudono quando si immerge. Le lunghe vibrisse le permettono di localizzare le prede anche nelle acque più torbide e di notte.
Si nutre principalmente di pesci come alborelle, cavedani, vaironi e anguille. La sua dieta è integrata anche da uccelli acquatici, piccoli mammiferi e granchi di fiume.
È un animale solitario, a parte durante il periodo della riproduzione, vive tutto l’anno nel suo territorio costituito da un tratto di fiume che le assicura siti di rifugio e la disponibilità di prede.
La maggior parte delle informazioni sul ciclo riproduttivo derivano soprattutto da studi di individui tenuti in cattività. La gestazione va dai 61 ai 74 giorni e i parti possono avvenire in tutte le stagioni, con la nascita di 1-3 piccoli.

CARATTERISTICHE E CURIOSITÀ
Negli ultimi anni, per una maggiore conoscenza dell’areale della specie, un maggiore sforzo di ricerca, e probabilmente anche per una lenta ripresa, la lontra sembra essere in aumento sia come numero di individui, sia come area di distribuzione. Certamente non siamo più nella fase critica della fine degli anni ’80 quando era ridotta a un centinaio di individui.
La lontra si riproduce in tane ricavate da buche lungo gli argini, cavità naturali tra le radici o vecchie tane abbandonate di volpi o tassi.
Durante tutto il XX secolo, la lontra è stata ampiamente cacciata per la sua pelliccia utilizzata nell’abbigliamento femminile; oggi questa moda è ormai superata e la lontra appare giovarne, riconquistando alcune aree da dove era scomparsa.

LE MINACCE
In Italia, la conservazione della lontra è stata affrontata a partire dagli anni ’80 con l’organizzazione del “Gruppo Lontra” che condusse al primo censimento italiano. Successivamente, l’impegno si è concentrato nella salvaguardia dei siti più importanti con l’istituzione di alcune Oasi WWF. Le minacce per questa specie sono oggi ben note e vanno dalla distruzione degli habitat fluviali, l’inquinamento da sostanze chimiche, scarichi urbani e industriali fino all’impoverimento della fauna ittica, risorsa fondamentale per questo carnivoro. Sfortunatamente, ogni anno diversi esemplari di lontra finiscono investiti lungo le strade durante i loro spostamenti notturni tra un corso d’acqua e l’altro. Non mancano purtroppo anche atti di bracconaggio dovuti al conflitto con i pescatori e gli allevamenti ittici. Infine, per un animale così legato ai fiumi, nuclei riproduttivi così ridotti e isolati rappresentano sempre un fattore critico per la sopravvivenza a lungo termine.

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